IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n. 2198 r.g.r. proposto da Anna Bruno elettivamente domiciliata in Genova, piazza S. Bernardo 30/2 presso l'avv. Gian Fausto Lucifredi che la rappresenta e difende per mandato il calce al ricorso, ricorrente contro il Ministero dell'interno in persona del Ministro pro tempore domiciliato in Genova viale B. Partigiane n. 2 presso l'avvocatura distrettuale dello Stato che lo rappresenta e difende per legge, resistente, per l'annullamento della nota ministeriale del 4 ottobre 1989 n. 333-B/12.M (86) recante esclusione della ricorrente dall'arruolamento quale allievo agente Polstato a seguito di vittoria concorsuale, nonche' contro ogni altro atto connesso; Visto il ricorso con i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'interno; Viste le memorie prodotte dalla parti a sostegno delle rispettive difese; Visti gli atti tutti della causa; Udita alla pubblica udienza del 4 marzo 1993 la relazione del referendario R. Prosperi e uditi, altresi', l'avv. Lucifredi per la ricorrente e l'avv. dello Stato Guerra per l'amministrazione resistente; Ritenuto e considerato quanto segue: ESPOSIZIONE DEL FATTO Con ricorso notificato il 9 dicembre 1989 la sig.ra Anna Bruno impugnava, chiedendone l'annullamento, la nota epigrafata con la quale il Ministero dell'interno l'aveva esclusa dall'arruolamento nella polizia di Stato. Premetteva in fatto la ricorrente di aver superato concorso bandito nel 1986 per l'arruolamento di 3000 allievi agenti della Polizia e di essere stata raggiunta dal provvedimento impugnato mentre era in attesa della convocazione per il prescritto corso di istruzione. Deduceva i seguenti motivi di ricorso: 1. - Difetto di motivazione. Il provvedimento impugnato si limita ad indicare il mancato possesso per la ricorrente di requisiti previsti da articoli di legge senza alcuna precisazione. 2. - Violazione bando di concorso e normativa richiamata falsa applicazione e violazione art. 26 della legge 1 febbraio 1989, n. 53 eccesso di potere per falsita' dei presupposti e di motivazione. Presume la ricorrente che l'esclusione sia stata adottata causa la pendenza di un procedimento penale a carico di suo fratello e cio' in applicazione dell'art. 124 terzo comma del r.d. n. 12/1941 - citato nelle premesse del provvedimento - per il quale non sono ammessi al concorso per uditore giudiziario coloro i quali non risultano di moralita' e condotta indiscussa ed appartenenti a famiglia di estimazione morale egualmente indiscussa. In realta', in primo luogo, a differenza di quanto citato nel provvedimento, il bando, pur elencando i requisiti richiesti non fa alcun riferimento alla pendenza di procedimenti nei confronti di parenti. In secondo luogo nella normativa in vigore al momento dell'emanazione del bando non vi e' alcun riferimento a tal genere di requisito. In terzo luogo un richiamo all'art. 124 del r.d. n. 12/41 e' presente per il reclutamento nella polizia solo nella legge n. 53/89 che e' successiva al bando stesso. In quarto luogo tale norma sopravvenuta fa riferimento solo alle qualita' personali e non a quelle familiari. 3. - Contraddittorieta' con precedenti - violazione principi generali in materia di annullamento d'ufficio. In ogni caso l'esclusione, ai sensi del bando, andava comunicata prima del sostenimento della prova scritta: dunque o il provvedimento si pone come un annullamento d'ufficio oppure andavano annullati tutti gli atti concorsuali sostenuti dalla ricorrente. 4. - Illegittimita' costituzionale. In via subordinata sarebbe da ritenersi incostituzionale l'art. 124, terzo comma predetto, e dell'art. 26 della legge n. 53/1989, in riferimento agli artt. 3 e 27 della Costituzione, laddove essi permettono l'esclusione di concorrenti solo perche' nei confronti di parenti pendono procedimenti penali. La ricorrente concludeva per l'accoglimento del ricorso, vinte le spese di causa. Il Ministero dell'interno si e' costituito in giudizio sostenendo l'infondatezza del ricorso e chiedendone il rigetto. All'odierna udienza pubblica il ricorso e' passato in decisione. Con sentenza non definitiva in data odierna il tribunale ha respinto in parte il ricorso. MOTIVI DELLA DECISIONE In seguito alla sentenza non definitiva indicata in fatto e resa dalla sezione, si deve ora sollevare, perche' rilevante e non manifestamente infondata, la questione di costituzionalita' prospettata dalla ricorrente con il quarto motivo di ricorso, ed integrata dal collegio, in merito all'art. 26 della legge 1 febbraio 1989, n. 53 e l'art. 124, terzo comma del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12. La ricorrente Anna Bruno e' stata esclusa dall'arruolamento nella polizia di Stato - dopo il superamento delle prove concorsuali - in base al combinato disposto delle norme suaccennate, le quali estendono alle forze di polizia la previsione vigente per il concorso ad uditore giudiziario concernente la necessita' del possesso delle qualita' morali e di condotta incensurabili e l'appartenenza a famiglie di estimazione morale indiscussa. Il rigetto dei motivi primo, secondo e terzo del ricorso, disposto con la sentenza definitiva di cui sopra, rende rilevante ai fini del decidere la questione di legittimita' costituzionale riguardante la suddetta previsione, sollevata dalla ricorrente in riferimento agli artt. 3 e 27 della Costituzione e ritenuta da questo tribunale non manifestamente infondata anche in relazione agli artt. 51, primo comma, e 97, primo comma. Come precedentemente indicato, l'art. 26 della legge n. 53/1989 ha esteso all'arruolamento nelle forze di polizia la necessita' del requisito, previsto dall'art. 124 dell'ordinamento giudiziario per l'ammissione al concorso di uditore, del possesso di incensurabili qualita' morali e di condotta e l'appartenenza a famiglia di indiscussa estimazione morale. E proprio su questa ultima parte della previsione viene ad incardinarsi la questione di costituzionalita' della presente ordinanza, in quanto la ricorrente Bruno e' stata esclusa all'arruolamento causa la pendenza di un procedimento penale nei confronti del fratello. Se indubbiamente il legislatore e' libero di fissare requisiti per l'ammissione ad un impiego pubblico ponendo limitazioni particolari, e' anche vero che dette limitazioni devono rispondere a criteri di logicita' e conformarsi ad un obiettivo interesse della p.a. tanto da giustificare a livello costituzionale la compressione del principio secondo il quale tutti i cittadini possono accedere ai pubblici uffici. Nel caso di specie le norme impugnate contengono un vago criterio selettivo, rimettendo ad una latissima discrezionalita' dell'esecutivo la potesta' di sacrificare la possibilita' del cittadino di assumere una pubblica funzione: e questo viene ricollegato ad una sorta di responsabilita' oggettiva, per cui un soggetto puo' rispondere, al di la' di suoi comportamenti personali delle conseguenze da atti altrui. Ora, non vi e' dubbio che l'art. 27 della Costituzione restringe alla sola materia penale il principio della responsabilita' personale e diretta, ma e' altrettanto certo che, al di fuori del campo patrimoniale, non si puo' senza traccia di logica giustificazione, addebitare a soggetti diversi gravi conseguenze di condotte altrui, anche se di familiari: e di gravi conseguenze si tratta poiche' la limitazione di ammissione ad un pubblico impiego e' del tutto assimilabile ad una sanzione penale: cfr. art. 28 e seg. del codice penale. E di tracce di logica giustificazione non ve ne sono, poiche' la norma che richiama l'estimazione morale indiscussa di una famiglia opera un rinvio del tutto generico il quale, se puo' trovare accoglimento nel campo etico-morale, non lo puo' trovare in quello giuridico tipico dello stato di diritto. Altro sarebbe stato qualora la legge avesse farmulato una puntualizzazione o fatto rinvio a de- terminate fattispecie di reato, ma nulla appare di tutto questo nella norma in discussione. Le conclusioni sin qui tratte circa gli artt. 26 della legge n. 53/1989 e 124 terzo comma r.e. 12/1941 predetti inducono altresi' ad ipotizzare la violazione dell'art. 97, primo comma. Infatti tali norme non sembrano poste in vista dell'adozione di una condotta amministrativa tale da assicurare un'esatta valutazione di tutti gli interessi interferenti con l'interesse pubblico e da poter provvedere sulla base di principi di congruenza e ragionevolezza. La possibilita' di escludere dall'arruolamento nelle forze di polizia a causa della presenza nella famiglia dell'interessata di una "pecora nera" prescindendo del tutto dalle caratteristiche personali non appare essere un'equa soluzione ai fini dell'imparzialita' della p.a. e si connota come contrastante con il gia' rammentato dettato dell'art. 51, primo comma della Costituzione: questa ultima norma va certo letta nel complesso di tutti i principi costituzionali e quindi con tutte le limitazioni che ne conseguono - come il buon andamento della p.a. - ma non si vede come nel caso di specie la tutela del buon andamento possa giustificare una compressione dei principi di cui all'art. 51, primo comma. Per dovere di completezza deve essere ricordato che l'art. 46 della legge 1 aprile 1981, n. 121, riguardante la riforma dell'amministrazione della p.s., prevede una serie di accertamenti di carattere fisico-psichico dei condidati all'arruolamento accertamenti i quali possono indubbiamente meglio tutelare l'interesse pubblico ad un corretto reclutamento, mediante appunto un procedimento tecnico che prescinde da astratte valutazioni che esulino dalle persone degli aspiranti. Deve quindi disporsi la sospensione del giudizio e la rimessione della questione all'esame della Corte costituzionale ai sensi dell'art. 134 della Costituzione, dell'art. 1 della legge costituzionale n. 1/1948 e dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953 n. 87.